I "fantasmi" del cielo

Se guardiamo il Sole, in realtà vediamo la sua luce come era 8 minuti fa. Infatti per percorrere la distanza dal Sole alla Terra, la luce impiega 8 minuti. La luce ha una sua velocità di 299.792,458 km/s.  Per le grandi distanze usiamo quindi l'anno luce vale a dire circa 9461 x 4 miliardi di chilometri o circa 63241 x 4 volte la distanza tra la Terra e il Sole (nota come unità astronomica). L'anno luce è quindi una distanza enorme su scala umana. 
Sappiamo che guardando la luce di una stella in realtà guardiamo indietro nel tempo. Se per esempio osserviamo la galassia di Andromeda che si trova a circa 2,538 milioni di anni luce dalla Terra, stiamo osservando la sua luce come era in passato. 
Cosa sono i fantasmi del cielo? Semplice!
Guardare lontano, quasi agli inizi dell’Universo e vedere un “fantasma” del cielo significa osservare la luce di una stella ormai morta. La sua luce è così lontana che quando arriva fino a noi la stella ormai non esiste più.


I ricercatori infatti, vogliono capire quali erano le reali percentuali degli elementi che si formavano all’atto dell’esplosione delle prime stelle e per questo vogliono avere tanti campioni di riferimento ed essere certi di osservare nubi di gas che non sono contaminate da stelle di generazione successiva. Un lavoro possibile solo con i più potenti telescopi dei nostri giorni in grado di portarci vicino alla nascita dello spazio e del tempo.

I colori delle stelle

Le stelle sembrano tutte bianche a prima vista. Se però le osserviamo con attenzione, possiamo notare tutta una gamma di colori: blu bianco, rosso, ecc. Il motivo per cui le stelle hanno diversi colori rimase un mistero fino a due secoli fa, quando i fisici svilupparono un'adeguata comprensione della natura della luce e delle proprietà della materia alle altissime temperature.
In fisica lo spettro visibile è quella parte dello spettro elettromagnetico che cade tra il rosso e il violetto includendo tutti i colori percepibili dall'occhio umano che danno vita dunque al fenomeno della luce. La lunghezza d'onda della luce visibile nell'aria va indicativamente dai 390 ai 700nm .In termini di frequenze, lo spettro visibile varia tra i 770 ed i 430 THz.


Un prisma separa per rifrazione la luce nei colori che compongono lo spettro visibile (esperimento di Newton). Ma oltre i colori nello spettro della luce ci sono delle zone scure. Cosa sono? 
Il primo ad osservare delle zone scure nello spettro del sole fu il chimico inglese William Hyde Wollaston nel 1802. Successivamente, nel 1814, Fraunhofer riscoprì indipendentemente le linee e cominciò una classificazione sistematica, insieme ad una misura accurata della lunghezza d'onda delle linee stesse. Catalogò in tutto 570 linee, assegnando alle principali le lettere da A a K e altre lettere alle linee più deboli.
Successivamente Kirchhoff e Bunsen, scoprirono che ciascun elemento chimico può essere associato a serie di righe spettrali e dedussero perciò che le linee scure nello spettro solare fossero dovute all'assorbimento da parte degli elementi presenti negli strati più esterni del sole. Oggi, con le moderne tecniche di osservazione e di spettroscopia si possono distinguere migliaia di righe nello spettro solare.
Ogni elemento presente nell'Universo ha un diverso modo di assorbire la luce e quindi dallo spettro riflesso di una stella, dove si possono osservare anche le zone scure, si può determinare la sua composizione e quindi da quali elementi è composta.

Cos'è la zona abitabile dell'Universo?

La zona abitabile, studiata dagli astronomi negli ultimi 20 anni, è una regione dello spazio le cui condizioni favoriscono la presenza della vita. Anzitutto, affinché una zona del cosmo sia abitabile, deve rispettare delle importanti condizioni spaziali: deve infatti avere una certa posizione nella galassia (zona galattica abitabile), e un'altra determinata posizione all'interno di un sistema solare (zona circumstellare abitabile). I pianeti e le lune che rispettano queste prime condizioni sono i migliori candidati al sostentamento della vita. Nello specifico, il termine "zona abitabile" può anche riferirsi alla fascia del nostro Sistema Solare, che comprende, ovviamente, anche la Terra, estendendosi da una distanza dal Sole di 0,95 UA a una di 1,37 UA. Il modello per il calcolo della zona abitabile di ogni possibile tipologia di stella osservata è un semplice modello climatico monodimensionale dove a partire da considerazioni varie sui gas si propongono equazioni termodinamiche da cui andare a determinare la grandezza e l'evoluzione della zona abitabile. Infatti la zona abitabile varia, e non potrebbe essere diversamente visto che la stessa stella varia nel tempo. La nostra zona abitabile per esempio fra qualche miliardo di anni sarà molto più lontana perchè il Sole prima di esaurire la sua energia si espanderà facendo aumentare le temperature e spostando di conseguenza la Terra più lontano nello spazio cosmico. 


Missione Kepler: un viaggio attraverso l'Universo

La missione Kepler è una missione spaziale della NASA, parte del programma Discovery, il cui scopo è la ricerca di pianeti simili alla Terra in orbita attorno a stelle diverse dal Sole, tramite l'utlizzo del telescopio spaziale Kepler. Il veicolo spaziale, chiamato in onore dell'astronomo tedesco del diciassettesimo secolo Johannes Kepler, è stato lanciato con successo il 7 marzo 2009. Il telescopio Kepler è stato progettato per monitorare una parte della Via Lattea, la nostra galassia, e scoprire pianeti simili alla Terra vicino o nella zona abitabile. Per fare ciò, un fotometro monitora costantemente la luminosità di più di 145 000 stelle di sequenza principale nel suo campo di vista fissato, presso le costellazioni del Cigno, della Lira e del Drago. I dati sono trasmessi a terra, dove vengono analizzati in cerca di periodiche diminuzioni di luminosità delle stelle causate da pianeti extrasolari che transitano di fronte alla loro stella. Nell'aprile 2013 il team di Kepler aveva individuato 2 740 candidati pianeti e confermato altri 121. Nel gennaio 2013 un gruppo di astronomi dell'Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics ha stimato dai dati di Kepler che nella Via Lattea risiedano "almeno 17 miliardi" di esopianeti simili alla Terra. Il tempo previsto per la missione è stato inizialmente di 3,5 anni, ma nel 2012 è stata estesa al 2016, in parte per difficoltà dovute all'analisi dell'enorme volume di dati raccolti dal telescopio.


Tra le ultime news la Nasa ha annunciato la scoperta di 219 nuovi possibili pianeti esterni al Sistema solare, 10 dei quali grandi quanto la Terra e posti nella fascia abitabile, cioè alla giusta distanza dalla propria stella per poter avere acqua liquida in superficie. Con questo ottavo catalogo della sua missione, il numero di potenziali mondi alieni sale a 4.034: di questi 2.335 sono stati verificati come pianeti, e più di 30 sono grandi quanto la Terra in fascia abitabile. "Questo catalogo frutto di misure estremamente accurate è la base di partenza per rispondere ad una delle domande più interessanti dell'astronomia: quanti sono i pianeti simili alla Terra nella nostra galassia?", spiega Susan Thompson, coordinatrice del catalogo presso il Seti Institute di Mountain View, in California. Grazie ai dati di Kepler, un secondo gruppo di ricerca è riuscito anche a misurare con precisione migliaia di pianeti, rivelando due tipologie principali tra quelli più piccoli: quelli rocciosi grandi quanto la Terra e quelli gassosi più piccoli di Nettuno.

Strangelet: la materia "strana" dell'Universo

Uno strangelet è una particella ipotetica, contenente dei quark di tipo strange. Secondo la teoria, uno strangelet dovrebbe essere composto da un numero uguale di quark up, quark down e quark strange, e andrebbe a costituire l'unità fondamentale della materia strana, che, a sua volta, formerebbe le stelle strane. Più in generale, uno strangelet può essere definito come un frammento isolato di materia strana. È stato ipotizzato che quando il neutronio che forma una stella di neutroni viene sottoposto ad una pressione sufficiente dovuta alla gravità della stella, i singoli neutroni si rompono e i quark che li costituiscono formano la materia strana. 


Ma cosa sono i quark? 
A questo stadio la stella viene chiamata stella strana o stella di quark. Il quark up è un quark di prima generazione con una carica elettrica positiva di +2⁄3e. Il quark down è un quark di prima generazione con una carica elettrica negativa di -1⁄3e. Il quark strange è un quark di seconda generazione con una carica di −(1/3)e e una stranezza di −1. È il quark più leggero dopo il quark up ed il quark down, con una massa che si aggira tra gli 90 e i 95 MeV/c2.
L’Astronomo Reale Martin Rees ha messo in guardia sul fatto che le strangelets potrebbero trasformare la Terra in una “sfera iperdensa inerte”.
Infatti le strangelet avrebbero il potenziale per avviare una reazione a catena è modificare tutto in ‘materia strana’, fino a trasformare la Terra in una “sfera iperdensa inerte” dal diametro di un centinaio di metri in tutto, come spiega Rees.
Eric Johnson, professore associato di Diritto presso l’Università del Nord Dakota e Michael Baram, professore emerito presso la Boston University Law School, hanno scritto l’articolo per ibtimes.com, nel quale indicano che il nuovo RHIC dovrebbe essere rivalutato a causa del suo nuovo potenziale, sospettato di poter creare un enorme disastro che potrebbe spazzare via la Terra. Comunque, in considerazione delle ricerche fatte fino ad oggi, il rischio di una catastrofe cosmica appare eccezionalmente basso. Eppure, la cosa terrificante è che non stiamo parlando di una probabilità pari a zero. Ulteriori indagini sulla questione sono ovviamente in fase di sperimentazione con ipotesi e simulazioni fatte ancora solo al computer. Qualsiasi essere vivente si avvicinasse ad una stella in questa fase verrebbe disintegrato e quindi diveterebbe parte della stessa stella.

Nine: il pianeta che non dovrebbe esistere

La storia del Sistema Solare, secondo molto studiosi, non spiega al 100% la sua nascita. Alcuni fenomeni tuttavia possono essere spiegati attraverso alcune ipotesi secondo le quali dovrebbe esistenere un nono pianeta. Ma alla distanza calcolata dove esisterebbe questo astro non c'è così tanto materiale da originare un pianeta di grandi dimensioni.
Tuttavia, esistono alcune ipotesi che sostengono che all’interno del Sistema Solare c'è posto per la nascita di un pianeta di cui oggi non esistono tracce.

Pochi mesi fa la comunità scientifica ha iniziato a studiare meglio questo fenomeno. Si pensa che dovrebbe avere una massa 10 o più volte la Terra e che orbiterebbe a 150 miliardi di chilometri dal Sole con un periodo compreso tra dieci e ventimila anni. L'esistenza di Planet Nine è stata condivisa, perché aiuta a spiegare le anomalie gravitazionali nel Sistema Solare. Secondo i ricercatori il pianeta ruota attorno alla nostra stella a una distanza compresa tra 400 e 1.500 Unità Astronomiche (1 UA è la distanza Terra-Sole, ossia 150 milioni di chilometri). Alcune  simulazioni al computer hanno portato a sostenere che esisterebbero non più di tre scenari possibili, più un quarto, più "debole" ma decisamente affascinante. La prima vuole che il pianeta sia stato attirato in quella posizione da una stella di passaggio vicino al Sole: in questo scenario, Planet Nine è stato allontanato dalla sua orbita primitiva, che era molto più vicina al Sole. Un'altra ipotesi considera Planet Nine formato molto più vicino al Sole: sarebbe poi stata l'interferenza di Giove e Saturno a spostarlo. Un terzo scenario considera Planet Nine nella posizione dov'è nato. È un'ipotesi meno "sostenuta", e tuttavia ha almeno un punto a suo favore: se un pianeta si fosse formato a quella distanza dal Sole dovrebbe essere gassoso, e la natura gassosa è proprio una delle ipotesi più condivise per il pianeta nove. C'è infine un'altra possibilità, speculare alla prima: Planet Nine potrebbe essere figlio di un'altra stella, catturato dal Sole quando gli è passata vicino. È lo "scenario di riserva", quello su cui la ricerca punta di meno, ma è il più affascinante: se così fosse, potrebbe anche essere che su quel pianeta sia esistita la vita, e chissà a quale stadio. Se così fosse, potrebbero esserci ancora tracce di quella vita?

Perchè Plutone non è un pianeta?

Nel 1930 fu scoperto Plutone da Clyde Tombaugh, un astronomo statunitense, ad una distanza media dal Sole di 5913,5 milioni di km.
Data la sua distanza, la strumentazione del periodo non consentiva uno studio molto approfondito dell'astro. Tuttavia venne classificato come il nono pianeta del Sistema Solare. Sin dall’inizio alcuni astronomi si mostrarono in disaccordo con tale scelta. La discussione si protrasse, fino a quando, nel 2006, l’Unione Astronomica Internazionale, ha deciso di “declassare” Plutone a Pianeta Nano (Dwarf planet, in inglese), al pari di altri quattro corpi celesti: Cerere, Eris, Makemake e Haumea. Ma perchè Plutone non è un pianeta? I motivi che hanno spinto l'Unione Astronomica Internazionale a prendere tale decisione sono diversi e sono legati a peculiarità che Plutone presenta rispetto agli otto pianeti del Sistema Solare.

Gli astronomi notarono che la luminosità apparente di Plutone, oltre che presentare valori relativamente bassi (la magnitudine apparente massima è di circa 14), presentava anche delle variazioni cicliche, non imputabili alla presenza del Sole (come nel caso di altri corpi celesti), bensì a un oggetto che ruota intorno ad esso. Fu così scoperto nel 1978 quello che ancora oggi viene definito il principale satellite naturale di Plutone: Caronte. Plutone ha dimensioni (1151 km di un raggio equatoriale) soltanto doppie di quelle di Caronte (603,6 km), mentre tendenzialmente un pianeta risulta essere molto più grande dei propri satelliti: per esempio il rapporto di grandezza tra Terra e Luna è di 5:1. Ciò implica che Plutone e Caronte non rappresentino un vero e proprio sistema “pianeta-satellite”, bensì un sorta di sistema binario pianeta-pianeta (anche questa definizione è tuttora controversa): essi infatti risentono dell’attrazione gravitazionale reciproca, ruotando intorno a un comune centro di gravità che si trova nello spazio tra i due corpi, alla distanza di 950 km dalla superficie di Plutone. Caronte non è, però, l’unica luna di Plutone: recentemente sono stati scoperti altri corpi orbitanti intorno a esso, Nix e Idra (scoperti nel 2005), P4 e P5, (2011 e 2012 rispettivamente). Le dimensioni di Plutone sono ridotte rispetto a quelle dei pianeti: è meno della metà di Mercurio, il pianeta più piccolo del sistema solare (2439,7 km di raggio equatoriale) e più piccolo anche della Luna (1738 km). Dallo studio del moto di questo sistema binario è inoltre emerso che Plutone e Caronte hanno una massa che è circa un ottavo di quella della Luna. Tutto ciò ha dunque suggerito che Plutone non è un vero e proprio pianeta, ma potrebbe essere per esempio un satellite sfuggito alla forza gravitazionale di un altro pianeta o un asteroide attratto in quella posizione. Anche la composizione di Plutone sembrerebbe avvalorare questa tesi: a differenza dei pianeti esterni gassosi (Giove, Saturno, Urano e Nettuno), è costituito di roccia fino a circa il 70%. L’altro 30% sembrerebbe comprendere ghiaccio, similmente a uno dei satelliti di Nettuno, Tritone. L’alta quantità d’acqua ha portato alcuni scienziati a pensare che Plutone possa essere ciò che resta di una cometa. Ma dove si trova Plutone? Durante la sua rotazione intorno al Sole, Plutone si avvicina alla periferia del Sistema Solare, in una zona ricca di asteroidi, comete e pulviscoli, chiamata fascia di Kuiper.

Terra e Venere: storia di due gemelle diverse

Venere, l'oggetto naturale più luminoso nel cielo notturno dopo la Luna, è il secondo pianeta del Sistema Solare in ordine di distanza dal Sole con un'orbita quasi circolare che lo porta a compiere una rivoluzione in 224,7 giorni terrestri. Visibile poco prima dell'alba o poco dopo il tramonto, per questa ragione è spesso stato chiamato da popoli antichi la "Stella del Mattino" o la "Stella della Sera". Prende il nome dalla dea romana dell'amore e della bellezza e il suo simbolo astronomico è la rappresentazione stilizzata della mano di Venere che sorregge uno specchio.
Nonostante ciò è classificato come un pianeta terrestre. E' infatti definito il "pianeta gemello" della Terra in quanto è molto simile per dimensioni e massa. Per altri aspetti, tuttavia, è piuttosto differente dal nostro pianeta. Venere infatti possiede un'atmosfera costituita principalmente da anidride carbonica, molto più densa di quella terrestre, con una pressione al livello del suolo pari a 92 atmosfere. La densità e la composizione dell'atmosfera creano un imponente effetto serra, che rende Venere il pianeta più caldo del Sistema Solare.


Nelle prime centinaia di milioni di anni del Sistema solare, Venere e Terra erano quasi sicuramente due pianeti molto simili sin dalla loro nascita: entrambi rocciosi, di dimensioni paragonabili e più o meno nella stessa zona del Sistema solare. Entrambi si sono formati da processi di accrescimento caratterizzati da giganteschi impatti, che provocavano la fusione della crosta fino a creare oceani di magma sulla superficie. Una volta finita la stagione degli impatti, quegli oceani di magma hanno iniziato a solidificare, allo stesso tempo creando una densa atmosfera fatta di vapore acqueo. È a questo punto che le storie dei due pianeti avrebbero iniziato a differenziarsi, per effetto del diverso irraggiamento di luce solare. Eppure guardate quanto diversi sono diventati: la Terra coperta d’acqua per la maggior parte, e con una gradevole atmosfera che ci permette di essere qui a parlarne. Venere caldissimo, arido e dall’atmosfera irrespirabile. Attraverso quali processi i due pianeti sono diventati così diversi?
Per prima cosa la diversa distanza dal Sole sembra sia una risposta per capire le diverse storie di Venere e Terra. Oppure, Venere e Terra potrebbero esseri trovati in regioni del sistema solare in cui il meccanismo che ha portato acqua sui pianeti funzionava con efficienza diversa. L’interesse di questo studio è molto interessante perchè fornisce una spiegazione molto naturale di come due pianeti così simili possano avere avuto evoluzioni così diverse.
L’idea è che non sia solo il tempo o la regione di formazione a modificare l’evoluzione di un pianeta, ma anche il modo in cui la distanza determina un diverso comportamento dell’atmosfera. Per il pianeta più vicino alla stella, che riceve più calore, l’atmosfera caldissima e saturata fa da tappo intrappolando il calore sulla superficie. A causa di questo effetto, ci vuole molto più tempo perché il magma solidifichi e il pianeta si raffreddi, probabilmente centinaia di milioni di anni in più. 

Che cosa succederebbe se non ci fosse la Luna?

Vi siete mai chiesti come sarebbe la Terra senza la Luna? Il ruolo del nostro satellite nell’esistenza della Terra è molto più importante di quanto non si pensi. La Terra è legata alla Luna da un vincolo di milioni di anni che inizia dal momento della loro formazione. Quando la Terra aveva ancora poche decine di milioni di anni, lo spazio circostante era cicondato da roccie e meteore fino a corpi molto massicci, che erano attratti dal Sole e dai vari pianeti in formazione. Le collisioni erano pertanto molto frequenti, a volte destinate a cambiare drasticamente la conformazione dei corpi celesti. Tra questi un grosso protopianeta, della massa di Marte,  invece di accasarsi in orbita attorno al Sole, finì con il precipitare sopra la giovanissima Terra. L’impatto fu violentissimo, e scagliò una enorme nube di materiale nello spazio. La materia espulsa inizialmente formò un anello attorno alla Terra, che poi rapidamente si aggregò, dando origine a un unico corpo celeste in orbita  attorno al pianeta da cui si era generato. La Luna è quindi composta di materiale terrestre; analogamente, anche la Terra ha inglobato parte dell’impattore. Terra e Luna quindi sono parenti molto stretti, e condividono la stessa composizione. Più precisamente, la composizione della Luna è molto simile a quella degli strati terrestri superficiali, costituiti prevalentemente da elementi leggeri.


Proviamo a pensare adesso a come sarebbe la Terra senza Luna.
Al nostro satellite dobbiamo la relativa stabilità climatica di cui godiamo, che ha permesso alla vita di prosperare. Nonostante periodici e inevitabili sbalzi climatici, la Terra è un luogo accogliente. Ciò avviene grazie al regolare alternarsi delle stagioni. Le stagioni si verificano perché l’asse di rotazione della Terra non è perpendicolare al suo piano orbitale, ma forma con esso un angolo di circa 23°. Questo angolo davvero ideale è stato prodotto al momento dell’impatto che formò la Luna. Ed è sempre la Luna che, dopo averla creata, mantiene invariata questa propizia inclinazione anche oggi, esercitando sull’orbita terrestre un effetto di stabilizzazione, evitando cambiamenti orbitali che risulterebbero dannosi per il mantenimento della vita. Come ulteriore conseguenza ci sarebbero giornate cortissime, un calendario fatto di anni (e non di mesi) e violenti cambiamenti climatici. 
Il giorno durerebbe 6 ore perchè in assenza della Luna il giorno sarebbe più breve.
Senza Luna, l’asse di rotazione terrestre sarebbe molto più sensibile ai piccoli disturbi causati dalla gravità dei pianeti e del Sole. Di conseguenza anche il clima sarebbe molto più instabile, con periodi di freddo glaciale alternati a punte di grande caldo. Le maree, che sono dovute in gran parte alla Luna (ma anche al Sole), sarebbero meno intense. Rivoluzionando l’aspetto (e la fauna) delle zone costiere e delle foci dei fiumi, soprattutto gli estuari. 
Le stagioni sarebbero sparite: il clima sarebbe rimasto uguale nell’arco dell’anno, eliminando i cicli dell’agricoltura. Il calendario non sarebbe stato suddiviso in mesi, ma in anni. 
Anche la Grande barriera corallina australiana non ci sarebbe: per riprodursi tutti insieme, questi coralli si sincronizzano con la Luna piena nella tarda primavera. 
Senza Luna, il cielo notturno sarebbe più buio. Si vedrebbero però molto meglio le stelle. 
Altra cosa importante nessuno scrittore o poeta potrebbe parlare della Luna e gli innamorati non godrebbero della sua incredibile luce durante la notte.


Una nuova ipotesi sulla formazione della Terra e della Luna: cos'è Synestia?

Una nuova ipotesi sulla formazione della Terra e del suo satellite la Luna. Il Journal of Geophysical Research – Planets ipotizza una nuova tipologia di oggetto celeste, chiamata Synestia. Ecco quindi che cosa potrebbe avere dato origine a Terra e Luna. Il nuovo oggetto planetario chiamato synestia è frutto dello studio dei planetologi di Harvard e della UC Davis: simulando diversi scontri tra oggetti celesti hanno scoperto che, se i pianeti che stanno per fondersi ruotano abbastanza velocemente, il risultato sarà un oggetto che ruota sul suo asse tanto velocemente da lanciare pezzi di sé nello spazio! A causa del calore generato dall'impatto, il materiale espulso sarà fuso o gassoso: si crea così una synestia, ovvero un protopianeta avvolto da un'enorme ciambella rotante di detriti vaporizzati. È possibile che la Terra sia passata per una fase synestica di un centinaio d'anni e, raffreddandosi, sia poi tornata a una forma quasi sferica. Come l'oggetto che rappresenta, anche la parola "synestia" deriva da una fusione: è l'unione tra "syn", il greco per "unione", e "Hestia", divinità ellenica dell'architettura. Molto più popolare il termine che i ricercatori hanno usato per descrivere la sua forma: "donut", le tipiche ciambelle americane.



E' possibile viaggiare più veloci della luce? E=mc2 : la formula più famosa dell’intera storia della scienza

La teoria della relatività è un'interpretazione complessa, che abbraccia la natura dello spazio, del tempo, dell'energia e della gravitazione e fu formulata da Albert Einstein nel tentativo di unificare i fenomeni meccanici, che sottostavano alle leggi della meccanica classica di Newton, e i fenomeni elettrici e magnetici, descritti dalla teoria dell'elettromagnetismo di Maxwell. Einstein intuì che non erano le leggi dell'elettromagnetismo che dovevano essere cambiate, bensì quelle della meccanica, introducendo i concetti di spazio e di tempo relativi; in particolare, egli comprese come devono essere descritti gli eventi quando vengono osservati da due diversi sistemi di riferimento. La prima parte della teoria della relatività di Einstein, enunciata nel 1905 e applicata ai sistemi in moto rettilineo uniforme, viene detta teoria della relatività ristretta e fu estesa ai sistemi in moto accelerato nel 1915, con la teoria della relatività generale.


E = mc2 è l'equazione che stabilisce l'equivalenza e il fattore di conversione tra l'energia e la massa di un sistema fisico. "E" indica l'energia contenuta o emessa da un corpo, "m" la sua massa e "c" la costante velocità della luce nel vuoto.
Così, la formula più famosa dell’intera storia della scienza comparve per la prima volta nel post scriptum di un articolo firmato da Albert Einstein, un oscuro impiegato dell’Ufficio brevetti di Berna.
Questa formula afferma che l’impalpabile energia si può trasformare in concreta materia, e viceversa... un evento quasi magico ma (forse proprio per questo) comprensibile a tutti. Il resto della teoria della relatività, invece, è più difficile da digerire: per comprenderla bisogna capovolgere ciò che ci dicono i sensi, l’esperienza e perfino i vecchi libri di fisica.  Ma andiamo con ordine. Quando si parla di relatività, in genere, si mettono insieme due diversi scritti di Einstein, uno del 1905 (la relatività ristretta) e uno del 1915 (la relatività generale, poi pubblicato all'inizio del 1916). Come si possono distinguere?
La teoria della relatività generale si occupa della forza di gravità e di tutti i fenomeni che coinvolgono l’attrazione gravitazionale, come per esempio i buchi neri.
La teoria della relatività ristretta di Einstein impone invece che la velocità massima alla quale i corpi materiali possono viaggiare sia la velocità della luce, esattamente 299.792 km/s. Questa può sembrare una velocità enorme e in effetti lo è se confrontata con le misure terrestri, ma se ci si allontana dalla Terra e ci si dirige verso gli spazi profondi del cosmo diventa un modo di procedere a passo di lumaca. Alla velocità della luce ci vorrebbero, infatti, 4,3 anni per raggiungere la stella a noi più vicina, più di 300 anni per approdare sulla Stella Polare, oltre due milioni di anni per arrivare alla galassia più vicina, quella di Andromeda e, infine, alcuni miliardi di anni per spingersi fino ai quasar più lontani che si trovano ai limiti dell’Universo. Vediamo allora se è possibile, almeno in linea di principio, viaggiare più veloci della luce. Abbiamo detto che i corpi materiali, ossia gli oggetti che possiedono massa, possono raggiungere al massimo la velocità della luce, ma non tutte le cose possiedono massa. I fotoni, ad esempio, cioè le particelle che costituiscono la luce ma anche altre radiazioni elettromagnetiche come raggi X, raggi gamma e onde radio, non possiedono massa e quindi queste “particelle” possono viaggiare più veloci della luce? Purtroppo no perchè tutte le particelle che non possiedono massa o, per meglio dire, che hanno massa a riposo nulla, possono viaggiare solo ed esclusivamente alla velocità della luce. Le particelle che non possiedono massa a volte vengono chiamate luxoni, cioè “oggetti che viaggiano alla velocità della luce”. Questo vuol dire che non esiste proprio nulla che possa superare la velocità della luce? Forse una possibilità esiste, benché molto remota. La teoria della relatività ristretta, infatti, non esclude in modo categorico l’esistenza di particelle superluminali (cioè più veloci della luce), ma si tratta di particelle virtuali che scaturiscono dalle equazioni che descrivono la teoria, quando in esse si inseriscono i numeri immaginari. A queste particelle è stato dato il nome di tachioni che significa “oggetti che si muovono rapidamente”. Queste particelle dovrebbero poter viaggiare solo ed esclusivamente a velocità superiori a quelle della luce, quindi, in questo caso, mai di meno. Tutta la materia che possiede massa, come abbiamo visto, viaggia invece sempre a velocità più basse di quella della luce quindi rientra in una categoria di “corpi” che potremmo chiamare bradioni, cioè “oggetti che si muovono lentamente”. Secondo la teoria di Einstein, pertanto, non è possibile infrangere la barriera della luce, né da una parte, né dall’altra. La velocità della luce rappresenterebbe la velocità maggiore dell'Universo.

 

La fascia di Kuiper: ai confini del Sistema Solare

Ai confini del Sistema Solare, lo spazio non e’ vuoto. Subito dopo i pianeti abbiamo la fascia di Kuiper. Questa fascia di asteroidi attraversa l'orbita di Nettuno e prende il nome dall’astronomo olandese, naturalizzato statunitense, Gerard Peter Kuiper (1905-1973). In questa fascia si trovano corpi formati da ghiaccio e carbonio. Questa composizione è tipica delle comete. Dopo questa fascia ci troviamo ancora nella nostra galassia, la Via Lattea. All'esterno della nostra galassia ecco l'immenso spazio tempo del nostro Universo.


Per la precisione si pensa che dalla fascia di Kuiper provengano le comete di breve periodo. Sulla sua formazione si sono formulate ipotesi a cui si sono affiancate le simulazioni al computer per verificare le varie teorie.  Attualmente sembra attendibile credere che possa essere considerata come l’interazione delle forze gravitazionali con un neonato Giove (all’alba della formazione del Sistema Solare) e Saturno. La fascia di Kuiper si può considerare come un residuo del nostro neonato Sistema Solare proprio per la natura degli oggetti in esso contenuti.
La distanza della Fascia di Kuiper dal Sole è stimata tra i 4,5 e i 7,5 miliardi di km. Fino a ora, in questa fascia, sono stati osservati e censiti circa 1000 oggetti (indicati con la sigla KBO). Plutone si pensa appartenere alla Fascia di Kuiper, ma non e’ l’unico oggetto dalle dimensioni importanti che abitano questa zona. Quaoar e’ un oggetto scoperto nel 2002 e ha una dimensione la meta’ di Plutone. Questo corpo fu il primo oggetto osservato di grandi dimensioni dopo a scoperta di Plutone.

Il Sistema Solare ha una nuova luna

Il telescopio Hubble ha scoperto una nuova luna che orbita vicino all'orbita del pianeta nano 2007 OR10, il terzo più grande dopo Plutone ed Eris. Le immagini che sono state raccolte hanno mostrato che il pianeta nano e la sua luna si trovano all'estrema periferia del Sistema Solare, in una fredda regione chiamata fascia di Kuiper


I ricercatori hanno inoltre trovato conferma dell'esistenza della luna nelle immagini scattate da Hubble, ma alcuni sospetti erano già nati con le osservazioni fatte dal telescopio spaziale Kepler, della Nasa. Kepler, infatti, aveva scoperto che il pianeta 2007 OR10 ha un periodo di rotazione molto lento, di 45 ore, e questo aveva fatto pensare all'influenza gravitazionale di un satellite che lo rallentava. I ricercatori hanno successivamente studiato il pianeta nano e la sua stella anche nell'infrarosso, con il telescopio spaziale Herschel dell'Esa, per calcolarne le dimensioni.

In diretta dal Virtual Telescope la galassia NGC 6946 e la supernova SN 2017eaw

Una supernova luminosa che esplode in diretta in una delle galassie più interessanti fino ad ora osservate. E’ la SN 2017eaw, la supernova collocata nella galassia NGC 6946 e scoperta il 14 maggio 2017 da un astrofilo americano e da un astrofisico italiano Gianluca Masi che ne ha confermato l’esistenza qualche ora più tardi. La galassia ha registrato una quantità record di supernove, ben dieci in cento anni, una caratteristica che le è valso il  nome di ”galassia dei fuochi di artificio”.


Per osservarla basta puntare il teloscopio verso la Costellazione Cefeo in tarda nottata. Ma dove si trova Cefeo? Compresa più o meno tra Cassiopea e l'Orsa Minore, con una estensione di 588 gradi quadrati e 60 stelle di magnitudine superiore alla sesta.
Data la sua posizione vicino la Stella del Nord, la costellazione Cefeo è sempre visibile dal nostro emisfero: in tarda estate splende alta, mentre in inverno si trova bassa sull'orizzonte Nord.
La galassia NGC 6946 è ripresa dal Virtual Telescope dall’osservatorio privato Tenagra, in Arizona. L’osservazione, condotta da Masi, può essere seguita da chiunque abbia uno smartphone, un tablet o un pc, collegandosi al sito del Virtual Telescope.

Ecco il link del Virtual Telescope per seguire la diretta:
https://www.virtualtelescope.net

Qui invece il video

L'illusione del tempo: non c’è solo un istante nel “presente”

Il tempo è una dimensione, la quinta dimensione, di cui si occupano tutti i fisici teorici che cercano di unificare la relatività generale di Albert Einstein e la meccanica quantistica in un’unica teoria unitaria: la  gravità quantistica. Com'era il tempo prima del tempo? Come si è attivato l’orologio dell’Universo? La fisica ci ha chiarito molte cose che non sapevamo, anche sul tempo. Ma ha anche sollevato nuove domande, di cui non conosciamo ancora la risposta. Il concetto di tempo, che dipende dalle cose che accadono e si mescola con lo spazio, diventa qualcosa che non c’entra più con la nostra intuizione semplice di tempo, e tutto sommato diventa un concetto inutile. Ma questo non significa che non ci sia il tempo nella nostra vita quotidiana. Significa solo che il tempo può non essere un concetto utile quando si studiano le strutture più generali del mondo. 


Einstein si è accorto che in mezzo fra quello che chiamiamo “passato” e quello che chiamiamo “futuro” c’è qualcos’altro che prima nessuno aveva notato. Non c’è soltanto un istantaneo “presente”, c’è molto di più. Il motivo per cui questo “qualcos’altro” di solito non lo notiamo è che dura molto poco. Quanto dura questo “né passato né futuro” dipende dalla distanza.  Per esempio se noi stiamo parlando nella stessa stanza, l’intervallo che non è né passato né passato né futuro è di qualche nanosecondo, cioè pochissimo, e non lo notiamo. Se stiamo telefonando da New York dura un millisecondo, ancora troppo poco per notarlo, ma se io sono sulla Terra ed un altra persona è su Marte, allora il “né passato né futuro” dura un quarto d’ora, e questo sì che si nota. Per questo non si può avere una conversazione semplice fra Marte e la Terra: perché anche se io provo a rispondere non appena sento la tua domanda, tu comunque avrai la mia risposta dopo 15 minuti. Quei quindici minuti non sono né nel mio passato né nel mio futuro. Sono nella “zona intermedia”. Oggi qualunque studente di fisica dell’università impara tutto questo senza difficoltà. Ma le conseguenze sono importanti. Significa che non si può dire “in questo momento nell’Universo le cose sono così”. Non esiste, in realtà un “questo momento” nell’Universo. Ogni sequenza di eventi ha il suo tempo e il modo in cui queste si mettono insieme è complicato.
Einstein scrive questa lettera strana e commovente alla famiglia del suo più caro amico che è morto da poco "È la nostra natura: siamo esseri che vivono nel tempo. Non viviamo al livello elementare del mondo: viviamo nella sua complessità."

Cosa sono i misteriosi lampi di luce nell'atmosfera terrestre?

Nel corso degli ultimi anni sono apparsi alcuni lampi di luce nell'atmosfera della Terra.
La NASA ne ha scoperto l'origine. Essi scaturiscono dalla luce solare che viene riflessa da cristalli di ghiaccio, orientati orizzontalmente e posti a un'altezza compresa tra i 5 e gli 8 chilometri dalla superficie del nostro pianeta. 



I primi flash luminosi di questo genere furono osservati dall'astronomo Carl Sagan nel 1993, mentre analizzava le immagini scattate dalla sonda Galileo, che nel 1989 fu inviata nello spazio per studiare il gigante gassoso Giove e i suoi satelliti. Durante una manovra attorno alla Terra raccolse alcuni scatti dell'atmosfera, nei quali gli scienziati notarono questi flash. Poiché li videro associati soltanto agli specchi d'acqua, credettero che questi ultimi ne fossero la fonte, tuttavia analisi più accurate e recenti delle immagini ne hanno fatti emergere un paio anche sulla terraferma.Gli astronomi della NASA, per determinarne la reale origine dei flash, hanno preso in considerazione questi scatti ma soprattutto quelli ottenuti dalla sensibile fotocamera Earth Polychromatic Imaging Camera (EPIC) equipaggiata sul satellite Deep Space Climate Observatory (DSCOVR) del NOAA, lanciato nello spazio a giugno del 2015 attraverso un Falcon 9 di SpaceX. Tra la messa in servizio e l'agosto del 2016, il satellite, che orbita a 1,5 milioni di chilometri dalla Terra, ha catturato ben 866 di questi lampi. Un numero così impressionante che ha catalizzato la necessità di una spiegazione scientifica, anche alla luce delle numerose richieste giunte alla NASA dall'esterno.

Gli studiosi, coordinati dall'astronomo Alexander Marshak, hanno innanzitutto verificato il comportamento dei lampi, strettamente legato alla posizione della camera EPIC e alla luce solare. Questo dettaglio ha fatto subito depennare dalla lista un qualsiasi fenomeno atmosferico paragonabile a quello dei fulmini, che sono naturalmente indipendenti da tali fattori. Attraverso un sensore dedicato alla misurazione dell'altezza delle nubi ne hanno determinato l'esatta origine in alta quota, e l'orientamento è stato spiegato dalla presenza di cristalli di ghiaccio con particelle disposte orizzontalmente. La scoperta potrebbe aiutarci a capire meglio l'atmosfera degli esopianeti ma anche se questi cristalli di ghiaccio hanno un effetto sulla quantità di raggi di luce che arrivano a Terra. I dettagli sono stati pubblicati sulla rivista scientifica specializzata Geophysical Research Letters.

credits: scienze.fanpage.it

Universo o Multiverso? La teoria delle stringhe

L’Universo è in continua espansione, ma la teoria per ora più accreditata è che sia comunque unico. Ci sono però ipotesi diverse che ritengono plausibile l’esistenza di un multiverso di cui noi occupiamo uno dei suoi “lati”, con leggi che potrebbero essere anche molto diverse da quelle degli altri. Potrebbero essere paralleli come nella teoria di Everett, ma anche molto vicini e magari in grado di influenzarsi tra di loro. E potrebbero essere collegati proprio dai buchi neri, queste misteriose e affascinanti zone del cosmo dove sembra che tutto finisca, anche la luce. Ma non è detto che sia proprio così. Infatti alcune soluzioni delle equazioni di Einstein dimostrerebbero proprio tale ipotesi.

La scoperta delle onde gravitazionali, o meglio, la loro dimostrazione definitiva, ha riacceso il dibattito su come sia realmente fatto il cosmo e se è possibile che ospiti altre forme di vita come la nostra o magari diversa. La possibilità che esistano altri universi infatti, da un lato è supportata dalla possibilità di attraversare lo spazio-tempo, che le onde gravitazionali dimostrano essere curvo e forse percorribile con scorciatoie. 
La teoria delle stringhe, ancora in fase di sviluppo, tenta di conciliare la meccanica quantistica con la relatività generale e che si spera pertanto possa costituire una teoria del tutto. Si fonda sul principio secondo cui la materia, la radiazione e, sotto certe ipotesi, lo spazio e il tempo siano in realtà la manifestazione di entità fisiche fondamentali che vengono chiamate stringhe. La teoria delle stringhe è un modello fisico i cui costituenti fondamentali sono oggetti ad una dimensione (le stringhe), invece che di dimensione nulla (i punti) come nelle teorie precedenti. Per questa ragione è in grado di evitare i problemi connessi alla presenza di particelle puntiformi. Uno studio più approfondito della teoria delle stringhe ha rivelato che descrive oggetti che possono avere dimensioni nulle (e quindi essere punti), una dimensione (stringhe), due dimensioni (membrane) o possedere un numero D di dimensioni maggiore di due (D-brane). L'interesse verso la teoria risiede nel fatto che si spera possa essere una teoria del tutto, ossia che descriva tutte le forze fondamentali. Potrebbe cioè fornire un modello per la gravità quantistica, insieme alle altre interazioni fondamentali già contemplate dal Modello standard.  A un livello più concreto la teoria delle stringhe ha originato progressi nella matematica dei nodi, negli spazi di Calabi-Yau e in molti altri campi. La teoria delle stringhe ha anche gettato maggior luce sulle teorie di gauge supersimmetriche, un argomento che include possibili estensioni del Modello standard.




Cosa sono le supernove?

L’esplosione di una supernova è cosi potente che la sua luminosità è tipicamente un milione di volte superiore a quella del Sole. Una supernova è una stella che esplode, diventando milioni di volte più luminosa e genera radiazioni energetiche e luminose per periodi di tempo variabili, durante i quali può sprigionare un’energia paragonabile a quella che il Sole emette nell’arco della sua intera esistenza, con temperature che possono raggiungere anche cento miliardi di gradi. Qualunque pianeta orbitasse attorno ad una supernova verrebbe subito carbonizzato.


Ma come si crea una supernova? Una supernova è l'esplosione di una stella che ha esaurito il suo carburante e quindi sta arrivando alla termine della sua esistenza. Infatti una stella nasce da ammassi di gas particolarmente densi, l'azoto, l'elio, e alcuni elementi più pesanti si uniscono e collassano formando un aggregato densissimo. Inizia così la vita di un astro. Quando si giunge a valori di pressione molto elevata, nella stella si innescano dei processi termonucleari che ne mantengono stabile la struttura. Gli elettroni stessi, quindi, sono costretti a rimanere a distanza l'uno dall'altro. Inizia cosi una guerra titanica tra forza di gravità che cerca di comprimenre la stella, e forze di degenerazione, che impediscono una ulteriore compressione.
L'idrogeno viene convertito in elio, mentre la stella produce energia e diminuisce la propria massa.
Una stella non dura in eterno, ma la sua morte può avvenire in silenzio, senza che nessuno se ne accorga, ma le supernove quando si spengono, lanciano un grido disperato e rabbioso, che scuote l'Universo. Quando i processi termonucleari per continuare, necessitano di produrre ferro, questo segna la fine. Il processo di creazione del ferro è il primo che richiede energia, invece di liberarne, la stella smette di resistere alla gravità, e come un pugile stremato, si accascia. L'esplosione di una supernova arriva a generare energie pari a quella di 2,5 triliardi di bombe atomiche!  L'esplosione delle supernove è  quindi un passaggio fondamentale nell'evoluzione del cosmo: questi eventi producono infatti gli elementi pesanti dai quali nasceranno le future generazioni di stelle e pianeti.
Gli astronomi dell’Università dell’Illinois hanno simulato al computer l’esplosione in una supernova di una stella distante soltanto 30 anni luce dalla Terra. In pochi giorni l’onda d’urto raggiungerebbe il nostro sistema solare. Il vento solare e l’eliosfera che frenano i raggi cosmici e così “proteggono” la Terra, verrebbero spazzati via. E il bombardamento di raggi cosmici e particelle sul nostro Pianeta spazzerebbe via lo strato di ozono che ci ripara dai raggi ultravioletti: la vita sparirebbe in poco tempo.

Più guardiamo lontano nell'Universo più andiamo indietro nel tempo

Più guardiamo lontano nell'Universo più andiamo indietro nel tempo. Ma come è possibile? Ciò dipende dal fatto che la luce ha una velocità finita, che è di circa 300.000 kilometri al secondo. Supponiamo per un momento di poter osservare Giove oppure Nettuno. Quello che vedremmo sarebbe il loro aspetto indietro nel tempo. Questo perchè la luce per percorre queste grandi distante impiega un determinato tempo. Basti pensare che la luce del Sole che vediamo durante il giorno è di circa sette minuti prima, perchè infatti impiega un deternimato tempo per arrivare sulla Terra. 


Ma quale visione del mondo si avrebbe se la luce viaggiasse a velocità più bassa? Per farcene un’idea proviamo ad immaginare di vivere in un mondo in cui la luce viaggi a 300 metri all’ora invece che a 300.000 kilometri al secondo. Che cosa si vedrebbe ad esempio assistendo ad una partita di calcio? Si potrebbe tranquillamente arrivare allo stadio con mezz’ora di ritardo senza rischiare di perdere l’azione più importante della partita perché l’immagine del calcio d’inizio arriverebbe agli occhi dello spettatore dopo circa mezz’ora dall’inizio della partita stessa. Guardando il campo di gioco, non si vedrebbe quindi lo svolgimento di azioni in rapida successione, ma fasi di gioco confuse avvenute in tempi diversi e precisamente le azioni che hanno avuto luogo nelle zone più lontane del campo sarebbero quelle che si sono svolte prima nel tempo. Questo non è fantascienza ma fa parte delle leggi dell'Universo. A scene dello stesso tipo si assiste guardando il cielo: gli oggetti più lontani ci inviano informazioni più vecchie di quelli più vicini. Quando ad esempio si osserva l’esplosione di una supernova, siamo certi che quel fenomeno si è verificato molto tempo prima del momento in cui si è compiuta l’osservazione.
Ma fino a quale distanza possiamo spingere il nostro sguardo ai confini dell’Universo, grazie alla diffusione di telescopi sempre più potenti? Certo non possiamo pretendere di vedere oggetti la cui luce, per giungere fino a noi, debba avere impiegato un tempo più lungo di quello che rappresenta l’età dell’Universo stesso, come non è possibile vedere una foto di noi stessi scattata prima della nostra nascita. Per farci un’idea di cosa vuol dire guardare lontano nello spazio, e contemporaneamente nel tempo, immaginiamo di mettere in fila su un lungo tavolo le foto che ritraggono noi stessi dalle più recenti fino a quella scattata nel giorno della nascita: è evidente che guardando lontano vedremmo foto sempre più vecchie ma non potremmo vedere una foto posta più in là di quella della nostra nascita, d’altronde mai scattata, semplicemente perché noi non esistevamo. Anche l’Universo prima di una certa data non esisteva e quindi, come per le foto, deve esistere una distanza limite al di là della quale non possiamo spingere il nostro sguardo. Questo limite dell’Universo si chiama «Orizzonte Cosmico» e nessun telescopio, per quanto potente, potrà mai valicarlo. Ma quanto lontano da noi si trova questo estremo orizzonte dell’Universo? La luce che proviene da galassie lontane ci porta informazioni di cose vecchie e questo fatto potrebbe sembrare una restrizione, un limite alle nostre possibilità di osservazione e invece rappresenta, dal punto di vista scientifico, una vera fortuna. Si pensi a quanto sarebbe interessante, per un paleontologo, poter vedere indietro nel tempo ed osservare i dinosauri muoversi e agire nel loro ambiente invece che essere costretto a ricostruire l’habitat nel quale vissero queste antiche creature utilizzando pochi frammenti del loro corpo conservati nelle rocce, nonché a far leva sulla sua capacità di immaginazione.

Da cosa è composta la materia oscura dell'Universo?

I corpi celesti che osserviamo nell’Universo sono luminosi perché emettono luce o perché la riflettono. Le stelle brillano perché producono una grande quantità di fotoni e i pianeti risplendono perché riflettono la luce del Sole. Se non ci fosse il Sole, i pianeti non si vedrebbero e perfino un pianeta grande come Giove non sarebbe visibile se si trovasse, solitario nello spazio, molto lontano dal Sole.

Esiste comunque la possibilità di identificare un corpo celeste anche senza vederlo direttamente. Se ad esempio non si vedesse la Luna, potremmo dedurre la sua presenza dal fatto che esercita una leggera attrazione sulla Terra spostando leggermente la sua orbita. Allo stesso modo, le oscillazioni indotte dall'energia gravitazionale hanno permesso di individuare dei pianeti intorno a stelle lontane. Quindi la luce e la sua energia sono molto importanti. Ma il nuovo modello è quello di un Universo incredibilmente buio per i nostri occhi e per i nostri telescopi composto da solo il 4 per cento di barioni, ossia di materia ordinaria formata da protoni e neutroni, mentre circa il 23% è costituto da materia oscura. Per quanto sia impossibile osservare direttamente la materia oscura, possiamo tuttavia conoscere la sua massa in base all’attrazione gravitazionale che essa esercita sugli altri corpi celesti e sulla luce. La materia oscura, anche se invisibile, esercita dunque una forza di gravità e quindi, come qualsiasi altro corpo celeste, influenza la luce che le passa vicino. Per poter osservare un fenomeno tanto strano serve un mezzo di osservazione altrettanto originale. Il nuovo telescopio che ci consente di osservare anche ciò che non si vede ci fu offerto da Einstein con la sua teoria della relatività. Quella teoria prevedeva la distorsione dello spazio per la presenza in esso della materia. Secondo Einstein la presenza di un corpo distorce spazio e tempo e la distorsione è tanto più grande quanto più massiccio è il corpo che la produce.Se c’è della materia oscura tra noi e la galassia che stiamo osservando, la direzione della luce proveniente da quell’insieme di stelle verrà deviata leggermente perché la materia oscura si comporta come una lente gigantesca. Questo effetto prende il nome di “lente gravitazionale” e ha consentito di individuare molti corpi celesti il cui numero tuttavia non è ancora sufficiente per rendere conto di tutta la massa mancante nell’Universo. Da cosa è composta la materia oscura? Potrebbe essere costituita da nubi di gas oscuro, da stelle molto piccole che non sono riuscite ad innescare nel loro centro le reazioni nucleari di fusione a causa delle ridotte dimensioni, da pianeti non illuminati da stelle vicine o forse ancora da buchi neri. Complessivamente questi corpi sono detti MACHO o MAssive Compact Halo Object (oggetti massivi e compatti dell’alone) e sono costituiti di materia ordinaria, ossia protoni, neutroni ed elettroni. In realtà una parte della materia oscura potrebbe essere proprio questa, ma è molto più probabile che la forma misteriosa di materia possa essere composta da un nuovo tipo di particelle subatomiche chiamate WIMPs, acronimo di Weakly Interacting Massive Particles (particelle massive debolmente interagenti), che non produrrebbero praticamente alcun effetto sulla materia ordinaria o sulla luce. Un buon candidato a rappresentare le WIMPs è il neutrino, di cui ultimamente è stata misurata la massa, scoprendo che è molto piccola, ma non inconsistente come si era sempre ritenuto. In ogni caso, per quanto in numero enorme, i neutrini potrebbero costituire solo una parte della massa mancante dell’Universo, non tutta, quindi c’è posto per altre particelle più esotiche che aspettano di essere rilevate. Fra queste le più favorite sono gli assioni, particelle stabili con una massa molto piccola, ma sufficiente per interagire seppure debolmente con la materia ordinaria. Però la cosa non finisce qui. L’Universo in cui viviamo, non solo è molto esteso, ma si va anche ulteriormente espandendo. Esso cioè, col passare del tempo, si ingrandisce sempre più.

In quale Universo ci troviamo?

Secondo lo strano mondo della meccanica quantistica, abitato da atomi e particelle, esiste un universo in cui questo articolo non è mai stato scritto. E, a un tempo, un altro mondo in cui è possibile leggerlo e commentarlo. Bizzarrie della realtà a livello dei suoi costituenti più intimi, governata da fenomeni che spesso fanno a pugni con il senso comune. E che hanno fatto storcere il naso persino ad Albert Einstein. Come la teoria del multiverso, in base alla quale esisterebbe una pluralità di universi paralleli, al punto che ogni decisione che ciascuno di noi prende in questo mondo ne creerebbe di nuovi. Secondo questa interpretazione, ci sarebbe, ad esempio, un mondo in cui il Terzo Reich è uscito vincitore dalla II guerra mondiale, e un altro in cui Hitler è uno sconosciuto pittore.
Può sembrare la sceneggiatura di un film, eppure i fisici teorici studiano questi scenari da almeno 50 anni, ed esistono complicati ed eleganti calcoli matematici in grado di descriverli. 



Secondo l’ultima formulazione, appena pubblicata su “Physical Review X” da un team dell’University of California a Davis, e della Griffith University australiana, non solo gli universi paralleli esisterebbero davvero, ma potrebbero persino interagire.
Gli scienziati forniscono una formulazione matematica della possibilità insondabile dell'esistenza di altri mondi, dove, con la parola mondo, essi intendono un intero universo dotato della complessità strutturale che oggi conosciamo grazie alla scienza. Secondo gli scienziati, l'esistenza di questi mondi che, invece di non incontrarsi mai, si influenzerebbero reciprocamente, potrebbe fornire una spiegazione scientifica strutturata della teoria quantistica: si tratta di una teoria fisica, nata nel secolo scorso, che è in grado di descrivere il mondo invisibile degli atomi e di tutto ciò che è ancora più piccolo e imponderabile.
Quando fu introdotta per la prima volta negli Anni ’50 dal geniale matematico americano Hugh Everett III, all’epoca in forze alla Princeton University, la teoria dei molti mondi venne derisa. Everett riuscì a fatica a pubblicarla, e alla fine abbandonò disgustato la carriera accademica. Negli anni, però, le sue raffinate spiegazioni di alcuni strani fenomeni del mondo subatomico, come la capacità delle particelle di coesistere in luoghi diversi – stranezze che spingevano il premio Nobel Richard Feynman ad affermare che “chiunque crede di aver capito la meccanica quantistica, non l’ha compresa abbastanza” – hanno fatto sempre più breccia tra i fisici.
Secondo la teoria di Everett ogni universo si divide in una serie di nuovi universi, quando viene effettuata una misurazione quantistica.
Partendo dalle sue intuizioni, abbiamo dimostrato che è proprio dall’interazione tra questi mondi, soprattutto repulsiva, che nascerebbero i fenomeni quantistici”. “Nel multiverso – aggiunge su New Scientist David Deutsch, fisico della Oxford University – ogni volta che facciamo una scelta si realizzano anche le altre, perché i nostri doppi negli universi paralleli le compiono tutte”. Un’idea sfuggente, difficile da accettare ma, a pensarci bene, non del tutto negativa. Il pensiero che, di fronte alle scelte più difficili di tutti i giorni, ogni possibile alternativa abbia l’opportunità di realizzarsi potrebbe essere in fondo rassicurante.
La domanda quindi è in quale Universo ci troviamo?

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Streaming dalla ISS – Stazione Spaziale Internazionale.


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Il programma New Frontiers della NASA entro il 2025

La NASA continua la sua esplorazione dei pianeti del Sistema Solare e dei suoi corpi minori. L’agenzia americana sta vagliando dodici proposte, presentate sotto il programma New Frontiers, che verranno sottoposte a valutazioni scientifiche e tecnologiche nei prossimi sette mesi. La migliore, verrà sviluppata in circa due anni per poi partire intorno al 2025.


Gli obiettivi della selezione fanno riferimento a sei aree dell’esplorazione Sistema Solare: la prima in grado di riportare sulla Terra campioni provenienti da una cometa, la seconda per la raccolta di materiale del Polo Sud della Luna, la terza per l’esplorazione delle lune Titano ed Encelado, la quarta  dedicata a Saturno, la quinta a Venere e la sesta destinata allo studio degli asteroidi.
Il programma New Frontiers vuole dare una risposta ai grandi quesiti che interessano il nostro sistema solare – ha commentato Thomas Zurbuchen, della direzione scientifica NASA di Washington – e non vediamo l’ora di andare avanti con queste missioni”. L’esito delle selezioni relative alla fase iniziale di studio, verrà annunciata alla fine di novembre e il concept prescelto potrà andare avanti nel processo di valutazione.
Si tratta della quarta missione scelta nell’ambito di New Frontiers, le precedenti sono New Horizons per Plutone, Juno per Giove e OSIRIS-REx, che è partita lo scorso 9 settembre alla volta dell’asteroide Bennu con l’obiettivo di riportare sulla Terra un campione di materiale nel 2023.
credits: NASA

Proxima Centauri b: un pianeta abitabile "a due passi" dalla Terra

C’è un pianeta simile alla Terra, un pianeta roccioso sul quale potrebbe scorrere acqua liquida. Si chiama Proxima Centauri b o solo Proxima b. Ruota attorno ad una delle tre stelle che compongono il sistema Alpha Centauri che si trova a 4,3 anni luce dalla Terra, ovvero le 3 stelle più vicine al nostro Sistema Solare. Delle tre stelle due sono considerate le principali e sono chiamate Alpha Centauri A e B; la terza è una nana rossa ed è chiamata Proxima Centauri, invisibile a occhio nudo, dista quasi 2.000 miliardi di chilometri dalla coppia principale. 



Durante i primi sei mesi del 2016 quest’ultima è stata studiata con regolarità da vari telescopi sparsi in tutto il mondo e in particolare dal telescopio di 3,6 metri di diametro che si trova all’Osservatorio di La Silla in Cile. Il fine era quello di interpretare le piccolissime oscillazioni che mostrava la nana rossa. Al termine della ricerca è stato possibile affermare che il pianeta ruota attorno a Proxima Centauri a una distanza di 7 milioni di chilometri (la Terra dista dal Sole 150 milioni di chilometri) con un periodo di 11,2 giorni e possiede una massa pari ad almeno 1,3 volte quella della Terra.
Nonostante il fatto che Proxima Centauri b sia estremamente più vicino alla sua stella di quanto la Terra sia vicina al Sole, si trova comunque entro la zona abitabile della sua stella perché Proxima Centauri è molto più debole del nostro Sole e la stima della temperatura superficiale è tale che in alcune aree del pianeta (quelle tropicali) ci potrebbe essere acqua allos tato liquido.
Come sottolinea Anglada-Escudé: «Molti esopianeti sono stati trovati e molti ancora ne verranno scoperti in futuro, ma cercare il pianeta potenzialmente analogo alla Terra e poi trovarlo è stata un'esperienza indicibile per tutti noi. Il prossimo passo è la ricerca di vita su Proxima b».

Perchè la nostra Galassia si chiama Via Lattea?

La nostra Galassia, la Via Lattea, ha un diametro di circa 100 000 anni luce e uno spessore, nella regione dei bracci, di circa 1 000 anni luce. Le stime sul numero di stelle che la compongono sono varie e secondo alcune fonti sarebbero circa 200 miliardi. Il nostro Sistema Solare fa parte della Via Lattea. Il nostro gruppo di pianeti, tra i quali si trova la Terra, è un punto piccolissimo della nostra Galassia. Se vi fosse un modellino in scala con un diametro di 130 km che rappresentasse la nostra Galassia, il sistema solare ne occuperebbe appena 2 millimetri.
All'esterno della Via Lattea si staglia l'alone galattico, delimitato dalle due galassie satelliti maggiori, la Grande e la Piccola Nube di Magellano. Il nome Via Lattea (Milky Way) è da attribuire a come la vediamo dalla Terra, appunto una striscia bianca di latte! Ma perchè proprio striscia di latte? Mitologicamente, durante una delle sue 'scappatelle', Zeus ebbe un figlio da Alcmena. Doveva essere un figlio tanto forte da impedire lo sterminio di uomini e dei. Alcmena partorì Eracle e lo lasciò su un prato per timore della moglie di Zeus, Era. Atena, convinta da Zeus, portò la sua regina Era sul prato e trovò il bimbo. Era decise di allattarlo ed il bimbo, appunto Eracle, si attaccò al seno con una tale forza che Era si ritrasse. Uno schizzo del latte di Era terminò in cielo, a formare la Via Lattea, mentre Eracle (che vuol dire Gloria di Era) divenne immortale. La nostra Galassia, vista da fuori da una posizione di taglio avrebbe la forma di un fuso, molto allungata e piatta. Vista di fronte, tuttavia, la Via Lattea assumerebbe la forma di una grande spirale con una barra centrale dalla quale si diramano i bracci.
 (foto: https://500px.com/photo/116296187/ribbon-of-starlight-by-stephen-allinger?ctx_page= from=related_photos&photo_id=117492343)

La forma della Galassia è stata individuata con molta difficoltà ed a tutt'oggi non è neanche molto sicura, se è vero che nuovi strumenti tecnologici ci pongono di fronte a differenti dati che, ad esempio, hanno portato il numero di bracci della spirale da 4 a 2 nel corso del 2008. Ovviamente per poterla vedere occorrerebbe spingersi molto lontano non solo dalla Terra ma dalla Galassia stessa, ed attualmente non abbiamo mezzi né tecnologie in grado di compiere questo lavoro in tempi accettabili per una vita umana. Il disco galattico è formato da stelle e materia interstellare in quantità molto abbondante. Questa materia può essere diffusa omogeneamente oppure raccolta in nubi di diversa dimensione. Guardando la Galassia da fuori e di taglio, noteremmo che la striscia luminosa che la compone è tagliata in due da una fascia oscura: la luce delle stelle in questa zona è infatti assorbita dalle polveri concentrate sul disco.
Proprio la presenza di grandi quantità di gas e polveri fa sì che il disco galattico sia un continuo fermento di stelle in formazione, quindi la popolazione di questa area galattica è molto varia, abbinando stelle anziane a stelle giovanissime.
Anche nel disco galattico sono presenti famiglie di stelle ed ammassi, ma questi ammassi sono molto meno fitti degli ammassi globulari presenti nell'alone galattico: si tratta degli ammassi aperti. Componente immateriale della Galassia ma non di poco conto, il campo magnetico galattico fu ipotizzato per la prima volta da Enrico Fermi nel 1949. E' noto che una carica elettrica in moto produce un campo magnetico, e che il gas interstellare è composto parzialmente da particelle cariche in movimento, che quindi producono un campo magnetico.
Fermi stimò anche il valore del campo magnetico in 3x10-6Gauss, basandosi sul fatto che durante la lunga vita della Galassia si fosse giunti ad un equilibrio tra densità di energia cinetica e magnetica. In effetti il valore empiricamente riscontrato è di 3,5x10-6Gauss.
Ancora nel 1949, Hiltner e Hall notarono la polarizzazione delle stelle molto lontane (significa che l'intensità della luce non è uguale in ciascuna direzione ma si concentra maggiormente in alcune direzioni anziché in altre), e che la polarizzazione stessa cresceva al crescere della distanza.
Via Lattea e M31, la galassia di Andromeda, rappresentano le maggiori esponenti delle galassie facenti parte del Gruppo Locale insieme alla galassia del Triangolo. Il Gruppo Locale, a sua volta, è compreso nel Superammasso Locale.
Si è sempre pensato che le due Nubi di Magellano fossero due galassie satelliti della nostra, mentre recenti dati sembrano dimostrare che queste galassie siano invece al loro primo e unico passaggio nei nostri dintorni.
Il futuro della Galassia è spesso indicato con il termine di Milkomeda, un nome fuso tra Milk Way (la nostra Via Lattea) e la galassia di Andromeda.
Infatti, la galassia di Andromeda è in avvicinamento alla nostra ad una velocità tra 100 e 140 km/s e tra circa 3 o 4 miliardi di anni le due giganti potrebbero entrare in collisione. L'evento porterebbe ad un mescolamento di stelle ed alla formazione di numerose altre stelle grazie allo sfregamento dei gas. Il risultato finale dovrebbe essere una gigantesca galassia ellittica, la cui formazione richiederebbe circa un miliardo di anni dall'inizio della collisione.

Cosa c’era prima del Big Bang?

Molte nuove teorie prevedono l’esistenza di una realta che precedeva il Big Bang. E in un certo senso l'analisi delle onde gravitazionali originarie che abbiamo appena registrato potremmo darcene le prove.

Fino a qualche anno fa i fisici reagivano a questa domanda rispondendo che lo spazio tempo è nato con il Big Bang, quindi non può esserci un prima. Ora le cose sono cambiate.
Newton dimostrò che è la stessa forza a far cadere le mele e a tenere la Luna in orbita intorno alla Terra. Dunque la legge di gravità funziona su distanze di qualche metro e di 400 mila chilometri. Osservando stelle doppie, gli astronomi hanno verificato che funziona anche a migliaia di anni luce da noi. Ma la regola secondo cui l’attrazione tra due masse diminuisce con l’inverso del quadrato della distanza è davvero universale come Newton solennemente la qualificò? 
Lasciando da parte per ora il fatto che la legge di Newton è un caso particolare della relatività generale di Einstein, e precisamente il caso nel quale lo spazio è sostanzialmente euclideo, per le grandi distanze abbiamo due osservazioni con cui fare i conti: 1) da più di mezzo secolo si sa che le galassie non ruotano rispettando Newton se consideriamo solo le loro stelle; 2) dal 1998 è noto che l’universo lontano accelera il suo moto di espansione come se avvertisse una sorta di gravità negativa o anti-gravità. 
Per spiegare la prima osservazione senza congedare Newton, gli astrofisici hanno introdotto la materia oscura: così le stelle diventano “traccianti” di qualcosa che non si vede e tutto funziona rispettando l’inverso del quadrato. Per spiegare la seconda osservazione la procedura adottata è simile, ma questa volta si ipotizza la presenza di una energia oscura. 
L’esito finale è imbarazzante: perché i conti tornino salvando Newton, la materia oscura deve rappresentare circa il 25 per cento dell’universo e l’energia oscura circa il 70. Conclusione: del cosmo conosciamo direttamente (si fa per dire) soltanto il 5%.

I "fantasmi" del cielo

Se guardiamo il Sole, in realtà vediamo la sua luce come era 8 minuti fa. Infatti per percorrere la distanza dal Sole alla Terra, la luce i...